lunedì 31 marzo 2014

Un Paese tra le mani

Una delle domande più frequenti che si ricevono quando si leggono libri è "Ti piace?". Ci sono volte, però, che una risposta univoca minimizza cosa il libro ti sia riuscito ad ispirare.
Ciò mi è successo con "L'odore dell'India - con 'Passeggiatina ad Ajanta' e 'Lettera da Benares' " di Pier Paolo Pasolini. Questo libro è una sorta di diario tenuto da Pasolini durante il suo soggiorno in India con Moravia ed Elsa Morante.
Ciò che mi ha colpito è "un'oggettività soggettiva". Mi spiego. Anche Moravia scrisse un libro circa questo viaggio, come dice l'autore stesso, che però è molto più dettagliato del proprio. Anzi, descrivendo alcuni aspetti della cultura indiana dice espressamente al lettore che se ne voleva sapere di più avrebbe fatto meglio a leggere il testo di Moravia. Pasolini descrive quello che fanno, ciò che vede, ciò che pensa, confronti tra il proprio mondo e quello nel quale si trova a vivere per questo breve lasso di tempo. È incredibilmente oggettivo nello scrivere i modi di fare, gli abiti ed i riti che compiono, lasciandosi un cantuccio per dare la sua impressione personale. Sono sicuro che lo stesso viaggio narrato da Moravia ha un sapore diverso, perché è diverso il punto di vista.
Pasolini descrive con profondo rispetto ed incredibile schiettezza quale mondo si para di fronte ai suoi occhi: non si risparmia di scrivere i moribondi, i lebbrosi, i mendicanti che fanno l'elemosina, il lurido che investe le silenziose città. Si sente l'apprezzamento della cultura indù della non-violenza sopra quella musulmana. In uno degli ultimi capitoli fa un netto confronto tra lo sfacciato musulmano Abdullah e il timido indù Bupati, facendo trapelare la "preferenza" verso il secondo per i modi di porsi così semplici.
Ciò che si apprezza della cultura indiana è il loro vivere col sorriso nonostante il mondo sia povero, sporco, con poche possibilità. Viene quasi da mettere a confronto i mendicanti che fanno l'elemosina con la piccola borghesia che sta nascendo: i primi sono sorridenti, al loro posto, socievoli, dolci nei modi; gli altri, sebbene ancora pochi, sono molto meno miti e sono insoddisfatti della propria vita poiché aspirano a modelli occidentali.
Ciò che mi ha colpito soprattutto di quanto è raccontato è il canto che pervade nelle stradine, nelle case: bambini, donne che cantano la loro condizione. Mi pare opportuno riportare l'impressione dello stesso Pasolini a riguardo:

"Eccoci qua [...], poveri indianini, con questi nostri panni che appena ci coprono i piccoli corpi, nudi e scuri come quelli degli animali, agnellini o capretti. Andiamo a scuola è vero, studiamo. Ecco qui intorno i nostri signori professori. Abbiamo una nostra antica religione, complicata e un poco terribile, e, per di più, proprio oggi, con bandiere e piccole processioni, celebriamo la festa della nostra indipendenza. Ma quanta strada c'è ancora da fare! I nostri villaggi sono costruiti col fango e con lo sterco di vacca, le nostre città non sono che dei mercati senza forma, tutti polvere e miseria. Malattie di ogni genere ci minacciano, il vaiolo e la peste sono di casa, come i serpenti. E ci nascono tanti fratellini da dividerci. Cosa succederà di noi? Cosa possiamo fare? Però, in questa tragedia, resta nei nostri animi qualcosa che se non è allegria, è quasi allegria: è tenerezza, è umiltà verso il mondo, è amore.. Con questo sorriso di dolcezza, tu, fortunato straniero, tornato nella tua patria ti ricorderai di noi, poveri indianini..."

Un'altra cosa che mi ha colpito molto -cosa che potete notare anche dall'estratto- è l'uso insistente della punteggiatura. Sembra quasi che Pasolini ci stia parlando, e adoperi ogni pausa come per prendere fiato, per incalzare il discorso che sta facendo. Anziché intraprendere un lungo periodo ricco di dettagli si sofferma di più sul particolare, donando molto più pathos a ciò che dice. Non vuole che ci si perda nel mezzo della città, ma vuole mostrarci ogni via, ogni angolo dove può nascondersi una storia degna di essere raccontata.
In conclusione posso dire che bisogna prendere questo libro per quello che è: un diario di viaggio. Poiché sono affascinato da tutto ciò che non è il mio quotidiano ho potuto apprezzare un mondo così distante ma al contempo così reale. Non ho avuto la sensazione di distanza leggendo, ma mi sentivo lì a vedere ciò che vedeva lui. Un acquisto che posso consigliare.






One of the most frequent questions one could be asked when he's reading a book is "Do you like it?". There are times, however, that a simple answer could minimize what the book has inspired you.
This happened to me with "L'odore dell'India - con 'Passeggiatina ad Ajanta' e 'Lettera da Benares' " by Pier Paolo Pasolini. This book is a kind of diary held by Pasolini during his journey to India with Moravia and Elsa Morante.
What caught my attention is a "subjective objectivity". Let me explain myself. Moravia wrote a book about this journey too, as the author himself tells us, which is more detailed than its own. Speaking of Indian culture he even says that Moravia's book is better if you want more information about it. Pasolini describes what they do, what he sees, what his thoughts are, comparisons between his world and the world he lives in this very moment. He is incredibly objective in writing what Indians do, clothes, the rites they do, leaving at the end a little place for his impressions. I'm sure that the same journey written by Moravia has a different taste, because it's different the point of view.
Pasolini describes with strong respect and incredible straightforwardness what world he experiences: he doesn't spare to write about dying people, lepers, beggars, the filth that covers silent cities. We can perceive his appreciation of Indian non-violence over Muslim culture. In one of the last chapters he makes a comparison between the bold Muslim Abdullah and the shy Indian Bupati, pointing out his "preference" towards the second one for his easier ways of being.

What is likely to appreciate about Indian culture is their living always with the smile on their faces, in spite of their world which is poor, dirty, with few possibilities. We are encouraged to compare beggars and the small emerging bourgeoisie: the first ones are with the smile, they respect their place, they are friendly, kind; the others, even though there are quite few of them, are less friendly and they are dissatisfied because they aim for occidental ways of living.
What drags my attention was overall the description of their singing that runs through little streets, in the houses: kids, women that sing their condition. I think it's important to report what Pasolini himself says about it:

"Here we are [...], little Indians, with our clothes that can barely cover our little bodies, naked and dark as the animals', lambs or goats. We go to school, it's true, we study. Here they are our teachers. We have our old religion, hard and quite terrible, and, moreover, this very day, with flags and small processions, we celebrate our independence. But how much we still must do! Our villages are built up with mud and cow's excrement, our cities are but shapeless markets, dirty and poor. Diseases of all kinds threat us, the smallpox and the plague are always here, as snakes are. And lots of brothers are born that we must divide between us. What will be of us? What can we do? But, in this tragedy, there still is something in our souls that if it's not joy, it's almost joy: it's tenderness, it's humility towards the world, it's love... With this smile of sweetness, you, lucky stranger, once you'll be back in your hometown you will remember us, poor Indians..."

Another thing that I noticed -you can get it even with this extract I've written- is the use of punctuation. It's like Pasolini is speaking to us, and he uses every pause to catch his breath, as if he was actually talking. He does not write so many long sentences full of details, but he focuses on the part, giving more pathos to what he's saying. He does not want us to get lost through the city, he wants to show every street, every spot where could hide a story worthy to be told.
In the end I can say that we must take this book as it is: a journey book. I'm fascinated with everything that is not what I experience every day I enjoyed a world so far from me but at the same time so real. I never had the feeling of "being out" of what I was reading, but I felt there seeing what he saw. A purchase I could suggest.

2 commenti:

  1. Pensa non ho mai letto né visto nulla di Pasolini. Dovrò rimediare, anche se non penso inizierò da questo. ;)

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    1. Anche per me è stata la prima lettura di Pasolini e non è stata male, anche se penso che gli altri romanzi evidenzino di più il suo stile, le sue idee etc. e prima o poi ne leggerò qualcuno :)

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